Ortensio gionfra
- Realismo ed astrazione poetica
- Alcune mostre personali
- Presenze e Premi
- Una intervista del 1984
Le Opere di Padre Gionfra
Critiche sull'arte di Gionfra
Realismo ed astrazione poetica nella pittura di Gionfra
La pittura di Ortensio Gionfra era per vocazione figurativa e, nelle
mostre, noto con il solo cognome Gionfra, provocava una
meditazione. Gionfra raccoglieva l'esistere per come può essere
visto con gli occhi, con l'aggiunta di quella velatura
giudicata dono di Dio, ch'è appunto la poesia.
Per questo anche un pittore rigorosamente figurativo come
lo era Gionfra, quando ha la misteriosa aggiunta poetica, può vantare
una propria astrazione. La meditazione che offre questo
che è stato un ammirato pittore riguarda l'interpretazione della pittura
moderna, di più contemporanea, sul quesito: "Che cosa è la
realtà? È quella vista, per cui un volto è un volto, un fiore
è un fiore secondo natura li ha fatti?".
Un pittore di impeto passionale e veritiero come lo era Gionfra
ci avrebbe risposto che le cose vanno rispettate e viste come
appunto Dio le ha fatte, e come l'uomo le modifica all'interno
della loro realtà, per cui da materiali grezzi nascono palazzi
e porte, oggetti, ecc... davanti alla vita quotidiana.
Quindi alternando queste cose, per cui le informalità, le
trasformazioni delle forme prefissate nella natura visibile si
potrebbe essere accusati persino del peccato di corruzione ai
danni della realtà apparente.
Una tesi opposta, in difesa delle informalità, degli
interventi della fantasia sulle forme - un prototipo assoluto
è l'opera di Picasso non figurativo - può sostenere che le
informalità, le ossessioni e le sublimazioni dell'invenzione
astratta sono trasferimenti sulla tela di realtà ben precise
all'interno di noi: le realtà della Psiche. Anche queste
realtà, in apparenza deviate, sono state fatte da Dio. Quindi
nessun peccatore. Questa considerazione calza e spiega il
personaggio e l'artista di Gionfra. Questo pittore,
come l'Angelico, vestiva l'abito del frate.
Era un uomo di Dio. Lo siamo tutti, ma lui ne portava la bandiera
con il sacrificio e la gioia della vocazione. La
sua arte, come per ognuno che fa opera di poesia, era
inevitabilmente condizionata dall'esistere quotidiano.
La tematica conventuale era ed è del resto frequente nella sua opera.
La questione della sua pittura sta in questo, al positivo: la
realtà dipinta e disegnata, vista e fatta vedere, secondo
l'ordine misteriosamente reso infinito per varietà come Dio ha
voluto, e vuole nelle costanti nidificazioni di cose e
paesaggi. In tale ideologia del figurativo stretto possiamo
individuare con Gionfra una presenza nella pittura
contemporanea da registrare con fisionomia autonoma.
Un pittore persino polemico, nella contentezza della
rappresentazione del mondo.
Ma i sentimenti, quel dentro di noi che, anch'esso realtà,
sono dentro la pittura che ci ha lasciato Gionfra?
Il quesito vale per ogni genere d'arte. Può esserci pittura
accademica, cosiddetta fredda, anche con perfezione formale,
che manca di ogni soffio interiore.
Asettica e perfetta, al limite bellezza, morta per assenza di
emozione. Però l'accademismo formale, quindi l'assenza di
emozioni, la vediamo in tanta pittura astratta, informale,
geometrica, avanguardisticamente in avanguardia.
Ciò che c'è dentro è altra vicenda, riguarda tutti i generi delle
arti. Per Gionfra il "dentro", emozionato ed emozionante, è
ben visibile sui suoi quadri.
Da qui il piacere non solo visivo che l'artista riusciva e
riesce a trasferire nei suoi ammiratori.
Gionfra era capace di alternarne nella sua pittura la
quotidianità della vita in ogni soggetto.
Tutto appare realistico, eppure con tanta irrealtà poetica. I
suoi paesaggi hanno spesso un punto focale in cui la
fantasia di chi si affaccia sul quadro può immettere misteri e
sogni, oppure trasferire propri desideri.
Sono Abbazie, Conventi, campanali, loggiati. Anche quando il
paesaggio si allarga in case a grappolo c'è quasi sempre una
torre, un campanile, un qualcosa che nel quadro focalizza un
rifugio per la fantasia.
Era chiaro l'aspetto di godimento di Gionfra nel far pittura.
Gli piaceva. Ne aveva la vocazione.
Era evidente, ed in questo era la sua originalità, il suo progetto
interiore di trasferire nel quadro, anche di tema lungi da
religiosità formali, un particolare che sia rifugio alla mente
e alla fantasia. In questo consiste la concreta sacralità
nella pittura di Gionfra.
I suoi monaci in coro, Gesú che biblicamente tutto vede dalla
croce in un corridoio di Convento, tutto ciò che di soggetto
sacro Gionfra abbia potuto dipingere sono pittura sacra, ma la
sacralità del suo dipingere sta nel soffuso mistero infuso
nell'intero e lungo ciclo delle opere.
Gionfra non era un pittore austero, nel senso accusatorio, come
potrebbe farci sbagliare superficialmente annotando la sua
vocazione privata e pubblica di sacerdote, accanto a quella
connaturata di pittore.
Era un artista che sapeva e sa darci pagine di gioiosità con contagi: i
suoi fiori. Era un pittore che sapeva e sa trasferire al nostro sguardo
malinconie e musiche interiori, come in alcune nature morte.
Era un artista persino ironico sino al sorriso sano. Si citano, per
gli altri, un suo gruppo di funghi giá colti sparpagliati, a
testa in giú, e su, o sdraiati di lato.
Una danza ferma in cui comicità e dramma, umore della vita e
della terra, rappresentato dai funghi, si allinea al dramma
della fine, essendo un frutto giá tagliato dalla terra.
La conclusione: Gionfra era un figurativo nella tradizione ma
con scelta rigorosamente ideologica: meditava, convinto.
Ci ammonisce che astrazioni della spiritualità, fughe nel
ridere e nella malinconia, l'abisso interiore con cui ogni
uomo convive possono essere espressi, raccontati, nella verità
apparente delle cose.
Purché ci sia l'altra faccia della verità; quella non apparente.
Il risultato, come nei quadri di Gionfra, è poetico.
[ A cura di Giuseppe Selvaggi (18 Marzo 1992) e riveduto nel 2013 ]